E’ mancata a Torino, nella notte tra il 13 e il 14 gennaio 2023, a 91 anni, la “partigiana Anna”: ovvero Gisella Giambone, la figlia dell’operaio comunista Eusebio Giambone, che venne fucilato nell’aprile 1944 al Martinetto insieme ad altri sette membri del primo CLN torinese. Il padre le lasciò una toccante lettera, una delle più belle, pubblicata nell’antologia Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana. Einaudi) Ne ho scritto nel mio libro “La Liberazione di Torino” [Edizioni del Capricorno, 2022]: purtroppo Gisella non ha potuto intervenire a una delle presentazioni, l’anno scorso, perché non stava già molto bene. Condoglianze al marito, professor Piero Amerio, alla figlia Luisa e alla nipote Viola. I funerali saranno al Cimitero Monumentale di Torino, lunedì 16 gennaio alle ore 14:45.
Pubblico uno stralcio dal mio libro, pag. 89
———
«La mattina del 31 marzo 1944 mio marito uscì di casa», è il racconto di Luisa Giambone, «come faceva gli altri giorni: Poi
tornò indietro. Allora gli chiesi: ‘Hai dimenticato qualcosa?’ Lui disse: ‘No, volevo darti un bacio’, e uscì. Dopo due ore
sentii bussare alla porta con insistenza. Erano tre o quattro repubblichini che venivano a fare una perquisizione. Ho pensato
che fosse successo qualcosa di gravissimo…»
Prima di sapere quel che era davvero capitato, la povera Luisa dovette aspettare diversi giorni: conosceva le regole
della cospirazione, le aveva imparate fin da quando Eusebio, suo marito, l’aveva sposata a Lione. Eusebio Giambone vi era
espatriato fin dal 1922, per sfuggire ai fascisti, che lo perseguitavano perché comunista. Luisa dunque non si perse d’animo:
uscì dall’alloggio di Borgo San Paolo, andò in questura, alle carceri: niente. Allora si ritirò nella vecchia casa di via Cesana,
con la bambina, e aspettò. La notizia le arrivò dalla radio.
Alle 7.10 del 5 aprile 1944 fra le mura del poligono di tiro del Martinetto, oggi attorniato dalle case e dai piloni dell’alta tensione,
otto persone caddero davanti al plotone di fucilazione gridando: «Viva l’Italia libera!» Questi i loro nomi: Giuseppe
Perotti, 48 anni, generale di brigata; Eusebio Giambone, 40 anni, tornitore, iscritto al PCI; Paolo Braccini, 36 anni, del
Partito d’Azione, docente universitario ad Agraria; Giulio Biglieri, bibliotecario, 32 anni; Franco Balbis, 32 anni, capitano
d’artiglieria; Errico Giachino, 28 anni, socialista, studente in economia e commercio e impiegato alla FIAT; Quinto Bevilacqua,
27 anni, operaio mosaicista, segretario clandestino della federazione PSI; infine il più giovane: Massimo Montano,
24 anni, impiegato.
Gli otto martiri costituivano il comitato militare del CLN. Arrestati tutti pochi giorni prima, furono sommariamente
processati il 2 e 3 aprile dal Tribunale Speciale Fascista per la Difesa dello Stato, l’organo di repressione dei dissidenti antifascisti
istituito fin dal 1926. Contro la RSI erano scesi in campo, insieme, generali, avvocati, operai, democristiani e liberali,
comunisti e socialisti, piastrellisti e docenti universitari. Se ancora qualcuno non sapeva che cosa fosse il movimento
antifascista, se ne dovette accorgere dopo il processo di Torino, quando i giornali, con due giorni di ritardo, riportarono
la notizia: «Processo a carico di alcuni responsabili del banditismo armato contro i poteri costituiti». Nel sommario, per la
prima volta, sia La Stampa sia la Gazzetta del Popolo citarono il Comitato di Liberazione Nazionale.
Il processo, comunque, fu una farsa.
[…]
Eusebio Giambone, prima di essere fucilato, scrisse due lettere: una all’adorata moglie Louise Breysse, che aveva conosciuto
a Lione, e una alla figlia tredicenne, Gisella (pubblicate nell’antologia Lettere di condannati a morte della Resistenza
italiana):
Cara Gisella, quando leggerai queste righe il tuo papà non sarà più. Il tuo papà che ti ha tanto amata malgrado i suoi bruschi modi e la
sua grossa voce che in verità non ti ha mai spaventata. Il tuo papà è stato condannato a morte per le sue idee di Giustizia e di Eguaglianza.
Oggi sei troppo piccola per comprendere perfettamente queste cose, ma quando sarai più grande sarai orgogliosa di tuo
padre e lo amerai ancora di più, se lo puoi, perché so già che lo ami molto. Non piangere, cara Gisellina, asciuga i tuoi occhi, tesoro
mio, consola tua mamma da vera donnina che sei. Per me la vita è finita, per te incomincia, la vita vale di essere vissuta quando si ha
un ideale, quando si vive onestamente, quando si ha l’ambizione di essere non solo utili a se stessi ma a tutta l’Umanità.
Gisella diede ascolto al padre e a quattordici anni entrò nella Resistenza, partigiana combattente nella Brigata Curiel.
1 Comment