Il 22 giugno scorso FICO Eataly World – il “Parco del gusto” alla periferia di Bologna nato nel 2017 da un’idea di Oscar Farinetti – ha riaperto al pubblico dopo mesi di chiusura dovuti alla pandemia: si presenta con un nuovo modello di business, caratterizzato dal biglietto di ingresso, da più attrazioni, dall’apertura soltanto dal giovedì alla domenica. Con uno slogan: meno “food” e più “show”. E’ la formula che ha studiato il nuovo amministratore delegato, chiamato a gestire il parco sul quale i proprietari (Coop, un fondo di investimento e la famiglia Farinetti, ora con Nicola front-man) hanno investito altri cinque milioni di euro: si chiama Stefano Cigarini. Ha 52 anni, è milanese, è un manager di livello internazionale con un presente come ad a Cinecittà World e un passato in Ferrari, grande esperto di intrattenimento e parchi tematici, ma – per sua ammissione – un “marziano” nel mondo del cibo. Ha incominciato la sua carriera a Bologna come addetto marketing per Lucio Dalla, per essere poi conquistato da Luca Cordero di Montezemolo e Sergio Marchionne.

Ho avuto la possibilità di intervistarlo in pubblico – per la prima volta – al Circolo dei lettori di Torino, martedì 28 settembre 2021, in occasione della VI edizione del Festival del Giornalismo Alimentare, ideato da Massimiliano Borgia.

“Sono un po’ un ‘marziano’ nel mondo del cibo – ha esordito il dr Cigarini – e infatti sono stato chiamato a FICO per provare a trasformarlo da un parco del cibo a un parco delle persone. D’altra parte è quello che ho fatto in Ferrari: non sono un esperto di automobili, il mio compito era costruire una esperienza da condividere con le milioni di persone che amano questo marchio italiano famoso nel mondo ma che non hanno comprato una Ferrari. E l’azienda di Maranello ne vende appena diecimila l’anno, ma i fan sono 300 milioni. Così sono nati i parchi a tema del Cavallino Rampante a Dubai e in Catalogna, vicino a Tarragona”. Poi Cigarini, nella sua introduzione, ha spiegato velocemente le caratteristiche del “Parco da gustare”, come l’ha battezzato: 80 mila metri quadri in cui vi sono 60 operatori, trenta attrazioni, sette aree tematiche, un luna park ‘contadino’, cinque giostre create per far conoscere la biodiversità e le filiere alimentari, un centro congressi e anche animali vivi. Inoltre sono rimaste alcune delle 13 fabbriche presenti all’inizio, che costituivano la straordinaria intuizione dell’idea originaria di Oscar Farinetti. Ora si paga un biglietto di ingresso da dieci euro, che però comprende tutto, anche il costo del parcheggio e le giostre.

“Prima, una volta entrati, ogni attrazione era a pagamento – continua Cigarini – e il tassametro del parking cresceva in modo continuo, dopo le prime due ore, invogliando così i visitatori a restare poco dentro l’area del parco. Ora invece è tutto compreso e ci sono tante esperienze multisensioriali da fare con i bambini. Si può mangiare, annusare, toccare, mettere le mani in pasta. E’ un approccio gioioso, un momento di comunità per tutta la famiglia”. E l’ad di FICO, nella sua introduzione, ha mostrato una slide con una famosa frase del grande inventore di Disneyland: “We are not in the ‘food/rides’ busines. We are in the people business“. Che significa: noi non siamo nel business del “cibo” o “delle attrazioni” (la frase orignale di Walt Disney era con la parola “rides”), ma in quello delle persone.

Ma ecco una sintesi della mia intervista, che si può anche vedere completa in questo video pubblicato dal Festival su YouTube: https://youtu.be/g8wLP-slvWc

Che cosa non ha funzionato nell’impostazione iniziale di FICO?

“Lo spiego con un esempio: se si organizza un concerto al quale partecipano mille spettatori e lo si ospita in un teatro da ottocento/mille posti, sarà considerato un successo clamoroso. Se il medesimo evento è in uno stadio, sarà un flop. La mia risposta alla sua domanda è: non ha funzionato il setting delle aspettative. Quando è stato detto che ci saranno sei milioni di visitatori l’anno, ci si mette in competizione con giganti come il Colosseo o i Musei Vaticani… essendo appena entrati in attività. E’ come se io imparassi a giocare a calcio e volessi battere Ronaldo o Dybala”.

Stefano Cigarini, ad di FICO

Le dimensioni con le quali è stato progettato FICO erano eccessive? Nella riapertura avete tagliato un’ala di 20 mila metri quadri, in fondo così è più sostenibile, per usare un termine di moda.

“Se guardiamo nel breve periodo, forse è dimensionato alla grande, ma se si guarda alle prospettive future, è stato meglio pensarlo così. D’altra parte, quando i progettisti pensarono l’Autostrada del Sole li presero per pazzi, si diceva che tre corsie erano troppe. Ora le vorremmo raddopiare”.

Qui al Festival del Giornalismo Alimentare è stato presentato un rapporto Istat sul turismo nel 2021 nel quale si evidenzia che il 90 per certo del movimento turistico nel nostro Paese, in questa estate post-emergenza Covid, è stato di italiani. I quali ricercano “autenticità e tradizione”. Li trovano ancora a FICO, che ora è pieno di formaggi e prosciutti di plastica?

“Assolutamente sì, FICO nasce con una grande attenzione all’autenticità. Le fabbriche sono autentiche, le abbiamo rese però più comprensibili con delle installazioni multimediali. Il fornaio non lavora normalmente alle quattro del pomeriggio della domenica, quando arrivano i visitatori. Ma il nostro pasticcere Santi Palazzolo, grande maestro siciliano, è vero, è lui che prepara i dolci, non c’è un attore al suo posto. Certo, abbiamo creato scenografie, ambienti, aree tematiche che rendono più intuitiva la visita. Il pubblico vuole anche il verosimile, secondo quel ‘patto di sospensione dell’incredulità’ che nasce al cinema. Quando vediamo un film nel quale l’attore che impersona James Bond cade e sta per morire, sappiano che non succede realmente: ma ci lasciamo coinvolgere, se la scena è girata professionalmente”.

Sono andato a visitare FICO il 19 settembre scorso, una domenica, e l’ho trovato affollato di famiglie con bambini, che si divertivano sulle giostre, emozionati dall’enorme forma di Parmigiano Reggiano / Grana Padano in cui si entra per conoscere i segreti del formaggio. Ma d’altra parte ho verificato che i grandi Consorzi sono rimasti: appunto Parmigiano e Grana, Mortadella di Bologna, Prosciutto di San Daniele, Aceto Balsamico di Modena. Mi pare un buon segno.

“Se vogliamo coinvolgere grandi volumi di pubblico dobbiamo cercare qualche onorevole compromesso: facciamo entrare le persone nel mondo del cibo da una porta più facile, più accessibile, empatica ed emotiva. Poi si può approfondire la conoscenza con le degustazioni, i corsi, le mostre. Quanto a quel padiglione con la forma alta sei metri, le confesso una cosa: non sapevo che sarebbe stato difficile mettere insieme i due Consorzi, il Parmigiano e il Grana. Ma ci siamo riusciti, è stata un’impresa come il ‘Patto di Yalta’, mi lasci dire…”.

Ecco, a proposito dell’approfondimento. Perché non avete inserito qualche elemento di storia della cucina italiana? Lo dico da storico… e per altro ho collaborato con mia moglie Clara a organizzare in passato degli eventi a FICO legati a tematiche di filiera: il Tiramisuday, il Nocciola Day, approfondimenti sullo street food e sul cioccolato, per esempio. E ora l’Accademia Italiana della Cucina è uscita con un’opera che mancava: la Storia della Cucina Italiana a fumetti. Si può divulgare, anche un po’ di storia, o no?

“Sono abituato a non fare annunci, ma a presentare ciò che ho realizzato. Posso però anticipare che stiamo lavorando al progetto di un Museo della Gastronomia Italiana. Non potremo realizzarlo da soli, ci vorrà un ampio coinvolgimento istituzionale, ma è un target da qui a tre-cinque anni”.

Questa è una bella notizia davvero. Immagino che concorrerà anche la Fondazione FICO, alla quale va un euro di ogni vostro biglietto. Le faccio un’ultima domanda sulle prospitive future, nell’ottica del tema di questo panel del Festival del Giornalismo Alimentare, che si intitola “Rilanciare il turismo del cibo grazie al Made in Italy”. Si prevede che nel 2022 riprenderanno, pandemia permettendo, i flussi turistici europei, mentre per quelli asiatici si dovrà aspettare ancora un anno. Lei è ottimista?

“Le rispondo citando due dati. Nel periodo di apertura, FICO ha avuto circa 140-150 mila visitatori stranieri l’anno. E secondo una ricerca indipendente di Nomisma, circa un dieci per cento dei turisti arrivati a Bologna, che non è città turistica, è arrivato appositamente per visitare il nostro parco. Se fosse successo per città come Londra, Parigi, Roma, con aree da venti milioni di persone, sarebbe un’altra storia. Perciò posso affermare che già oggi FICO offre al turista internazionale un’esperienza ‘all in one stop’. Non si può programmare un viaggio in Italia a zig zag dal Piemonte alla Sicilia. Ma a FICO si può conoscere il meglio del cibo italiano. E’ già un grande elemento di attratività del Sistema Italia”.

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