di Gigi Padovani
«Neapel sehen und sterben!» In tedesco suona meglio: è un gioco di parole che lo scrittore Johann Wolfgang von Goethe usò nel suo celebre Viaggio in Italia, che significa: «Vedere Napoli e morire». Naturalmente il senso della frase non è lugubre, ma esprime l’idea che dopo aver visto la bellezza assoluta della città partenopea non resti più nulla da desiderare nella vita, come apice dell’esperienza estetica e umana. Poi in italiano il detto si è un po’ involgarito, diventando il celebre motto popolare – con lo stesso significato del poeta di Francoforte – «Vedi Napoli e poi muori». Dopo l’uscita del ricco libro curato dal giornalista e gastronomo napoletano Luciano Pignataro, coadiuvato da una bella squadra di altri dieci autori, dal titolo Le pizzerie storiche di Napoli (124 pagine, 30 euro, Edizione indipendente con il sostegno di Mulino Caputo), si potrà dire che prima di lasciare questa terra bisogna almeno aver gustato la pizza in uno dei 23 locali descritti nella pubblicazione.
Come dice l’autore – che oltre a curare da anni uno dei siti di cultura e informazione gastronomica più letti in Italia, www.lucianopignataro.it, ha già scritto diversi volumi sulla pizza, sulla cucina napoletana e su quella mediterranea – si tratta di un «libro corale» che racconta le storie famigliari di pizzerie centenarie, confutando la leggenda che la pizza in Italia sia stata portata dagli americani, ignorando «che il pomodoro è in uso nelle cucine napoletane almeno dal ‘700».
Impossibile citarle tutte, basti ricordare l’Antica Pizzeria da Michele, in attività in via Cesare Sersale dal 1870, che ha dato origine a una catena diffusa in tutto il mondo; Brandi, dove nel 1889 Raffaele Esposito dedicò la sua pizza pomodoro e mozzarella alla Regina Margherita di Savoia; La Masardona, portabandiera del “battilocchio”, ovvero la versione fritta; Port’Alba, che prende il nome dalla via in cui si trova fin dal 1738, conosciuta come la pizzeria attiva più antica del mondo; e infine Starita a Materdei, dove il regista Vittorio De Sica nel 1954 girò la famosa scena del film “L’oro di Napoli” con Sofia Loren procace pizzaiola.

Dove nasce la storiella della pizza americana? Forse dalle catene Pizza Hut (1958) e Domino’s (1960) e da quel Gennaro Lombardi che nel 1905 portò la margherita agli emigrati italiani sbarcati a New York in Spring Street. Ma la documentata analisi storica di Pignataro, in apertura del libro, distrugge con fonti bibliografiche quella leggenda diffusa sul web Usa con tante altre fake news.
Questo Viaggio nell’anima della città – sottotitolo dell’opera – è veramente ricco di aneddoti, racconti, curiosità, come la scheda di Santa Di Salvo sulla pizza nel cinema e nella tv, dai film di Woody Allen (in Provaci ancora Sam e in Manhattan) alla serie de I soprano fino al sudcoreano Parasite (2019) premiato con l’Oscar, o le testimonianze di due ambasciatori pizzaioli noti in tutto il mondo, anche se con una storia più recente: Enzo Coccia e Gino Sorbillo.
Per tornare a Goethe, la storica dell’alimentazione Giulia Cannada Bartoli nella scheda dedicata a “Da Pasqualino Antica Pizzeria” ricorda che nel suo Viaggio in Italia, lo scrittore tedesco fu affascinato dal cibo di strada – compresa la pasta, che ne fu uno dei primi – e dal popolino di «zendraglie, magnafoglie e magnamaccheroni». Ora, tra le ragioni che ci spingono ad andare a Napoli prima di morire, si aggiunge questo libro tutto da gustare.