Un importante compleanno

Un viaggio nella storia del costume dell’Italia
attraverso un celebre brand conosciuto in tutto il mondo

Un libro particolare arricchito da una selezione di ricette classiche reinterpretate con i prodotti Plasmon

Da oltre 120 anni la ricetta segreta
che ci fa rivivere le emozioni e i ricordi dell’infanzia

Clara e Gigi Padovani

La forza della famiglia
La ricetta segreta che dal 1902 aiuta l’Italia a crescere

In occasione delle celebrazioni per il suo 120° compleanno, Plasmon, un’azienda che con passione garantisce ogni giorno qualità e sicurezza nei prodotti alimentari dedicati ai più piccoli attraverso un impegno concreto nel sostenere la Filiera Italiana, ha scelto Gribaudo per raccontare la sua lunga ed emozionante storia nel libro La forza della famiglia firmato da Clara e Gigi Padovani.

In questi 120 anni Plasmon è stata al fianco delle famiglie italiane, è cresciuta di pari passo con il nostro Paese, ha cresciuto i nostri figli mettendo al centro il bambino, ha raccontato l’Italia attraverso una ricchissima e articolata comunicazione pubblicitaria, ha anticipato tendenze ed esigenze delle famiglie in fatto di sostenibilità ambientale e garanzia di qualità delle materie prime.

Questo volume, frutto di un’approfondita ricerca da parte degli autori, tra i massimi esperti di storia

del food italiano, oltre a ripercorre le tappe di uno dei più celebri brand italiani, è anche l’occasione per rileggere 120 anni di storia del costume e della famiglia: come sono cambiati i nostri gusti, com’è cambiato il nostro modo di alimentarci e come Plasmon ha saputo farsi interprete di questi cambiamenti. Un testo ricco di immagini, molte delle quali inedite, che accompagnano il lettore in un affascinante viaggio per scoprire come siamo “diventati grandi” con Plasmon.

Introduzione

SIAMO TUTTI PLASMONIANI

La parola mito deriva dal greco mithos, che significa favola o racconto: perciò il mito è in primo luogo linguaggio, come ebbe a dire l’antropologo francese Claude Lévi-Strauss, o semplicemente parola, come sostiene in Miti d’oggi il padre della semiologia Roland Barthes: «Il mito è un sistema di comunicazione, è un messaggio». Fu lui ad applicare per primo la nozione di mito alla merce e ai suoi linguaggi, fino a costruire una sorta di “poetica delle merci” che ne trascura il valore d’uso.
Si può adottare questo termine per il biscotto Plasmon, evergreen del baby food, mai scalfito dalle mode, tanto da essere diventato sinonimo della categoria cui appartiene? Oppure è più giusto, come spesso si fa, definirlo un “biscotto iconico”, ovvero un prodotto che soltanto con la sua immagine sa trasmetterci un messaggio, la Madeleine della nostra infanzia?


Oggi la marca ha assunto una nuova centralità, accompagnando tre dimensioni della nostra vita: il consumo, la comunicazione e l’economia. Il dipanarsi dell’avventura industriale di Plasmon nell’arco di centoventi anni diventa un racconto corale, che non può prescindere dalla storia sociale italiana, focalizzata sull’evoluzione del nucleo familiare. Quando a Milano si costituisce “Il Sindacato del Plasmon”, in base al censimento del 1901 nascono 1.057.763 bambini, da 235 mila matrimoni. Gli italiani sono soltanto 32 milioni. Oggi la popolazione è quasi raddoppiata, ma le culle nel 2021 si sono riempite con meno di 400 mila bebè.
Allora, nella campagne vigeva la famiglia patriarcale, mentre in città la piccola borghesia e la classe operaia faticava ad allevare i figli. Poi, con il fascismo, lo Stato impose alle mamme di procreare (con scarsi risultati demografici, nonostante la propaganda incessante). Soltanto i nuovi stili di consumo e il boom economico portarono a una ripresa delle nascite. Poi nel nuovo Millennio le culle si sono svuotate, per tante ragioni, dalla crisi economica alla mancanza di un supporto efficace alle famiglie.

Per cinque generazioni di italiani quell’inconfondibile biscotto è diventato un punto di riferimento, un rettangolo smussato, croccante all’esterno e friabile all’interno. Tra i brand di successo è forse un caso unico di longevità, grazie alla fiducia dei genitori, conquistata fin dall’inizio e mai più perduta.


Plasmon vuol dire tradizione ma è anche sinonimo di innovazione, come tanta parte dell’industria italiana. All’inizio del Novecento era un ingrediente funzionale a base di proteine del latte, che settant’anni dopo, per metonimìa (una parte per il tutto) è diventato una marca. È una ricetta segreta, realizzata per la prima volta da un chimico tedesco alla fine dell’Ottocento, che fece la fortuna dell’azienda in tutta Europa e in Italia portò alla nascita del più grande brand di baby food.
Nata come un’azienda farmaceutica grazie all’intuizione di un medico milanese filantropo e visionario, Cesare Scotti, un figlio di contadini che con lo studio e la volontà divenne un imprenditore di successo, la Plasmon si è trasformata in impresa industriale di successo nel dopoguerra, in quanto un manager intelligente – l’avvocato Franco Bassani – seppe sfruttare il baby boom e il boom economico, offrendo ai bimbi italiani una gamma completa di prodotti specifici per il loro sviluppo equilibrato. Con l’acquisto da parte del gruppo Heinz il sogno poteva svanire, fagocitato da una
grande multinazionale. Invece Plasmon, pur con le difficoltà dovute al calo delle nascite, ha saputo mantenere la sua leadership di mercato e con l’innovazione offrire nuove specialità funzionali, come il Nutri-mune, studiato per supportare il sistema immunitario dei più piccoli.


Sì, siamo tutti plasmoniani perché ne hanno cantato le lodi famosi scrittori come Mark Twain, che ne volle vendere il prodotto negli Stati Uniti, il premio Nobel inglese John Galsworthy, gli italiani Gianni Farinetti, Fabio Genovesi, Simonetta Agnello Hornby, Paolo Di Stefano. È stata adottata come razione energizzante da soldati, esploratori come Ernest Shackleton e Piero Ghiglione, scalatori e sportivi, come il calciatore Pippo Inzaghi. Non abbiamo immagini dei primi biscotti Plasmon venduti già nel 1902, ma da quando ne incominciò la produzione industriale, negli anni Trenta del Novecento, non hanno
mai cambiato la loro forma, «perfetta e funzionale», come scrive il designer Giulio Iacchetti, che l’ha inclusa nelle «forme esemplari, semplici, ben risolte, facilmente ridise gnabili» del suo libro Semplici formalità, insieme con una trentina di altri oggetti del vivere quotidiano, come il tappo dello Champagne, il cerotto, le pedine del Monopoli (messe in copertina), lo stecco a elica o la lampadina. «Mi piace pensare che un biscotto possa essere eletto a riferimento per indicare una forma primaria: un po’ come la palla che rimanda alla sfera, il dado che rimanda al cubo e il Plasmon… proprio a quella forma lì».
Sì, siamo tutti plasmoniani. A Milano, nel 2015, ha successo tra i giovanissimi la “One Horse Band”, in cui il batterista batte il tempo suonando una scatola di latta dei Plasmon. Da Torino e Milano alla Campania, ormai diverse gelaterie presentano gusti “al Plasmon”. E lo chef Arcangelo Dandini, del noto ristorante L’Arcangelo di Roma, fin dal 2016 offre ai suoi clienti il piatto “Anabasi”: un torcione di fegato d’oca con biscotti Plasmon, caramella d’orzo e sale affumicato.

Sì, siamo tutti plasmoniani, anche da adulti. Nel marzo 2019 sono arrivati in commercio i biscotti dei grandi, definiti “proustiani” dai giornali. Si tratta di una gamma di frollini in tre gusti: classico, ai cinque cereali o con gocce di cioccolato.
Sì, siamo tutti plasmoniani: per ritrovare, in un solo morso, le emozioni e i ricordi dell’infanzia.